Incontro con Adele e Valter Schilirò al Centro Schuster

Claudio Rossi: Buonasera a tutti e grazie di essere intervenuti così numerosi qui nel nostro santuario degli sportivi, per noi è motivo di orgoglio e felicità ospitare un incontro di questo tipo sulla famiglia Martin che s’inquadra molto bene nel nostro progetto. Noi qui al Centro Schuster pensiamo di utilizzare lo sport come modello educativo nel quale la famiglia è parte integrante di questo modello e quindi cerchiamo sempre di avere dei momenti di formazione per le nostre famiglie con incontri simili a questo. Vi ricordiamo per esempio che un paio di anni fa, abbiamo ospitato il figlio della santa Beretta Molla, che ci ha fatto una testimonianza assolutamente importante sul tema della santità. Stasera siamo convinti che avere con noi la famiglia Schilirò è un fatto molto importante che rimarrà nella nostra storia recente, un momento molto sentito da tutti noi, quindi grazie ancora di essere intervenuti.

Valter Schilirò: Buonasera, è sempre un po’ emozionante raccontare quello che ci è accaduto ormai dieci anni fa ed è un Mistero che si perpetua ancora oggi. Abbiamo qua la mostra dei Coniugi Martin ed è sempre una gioia vedere quello che il Signore ha fatto da un piccolo “sì”, alla fine. Vi raccontiamo di Pietro. Noi abitiamo a Monza, dove Pietro nasce il 25 Maggio 2002,  abbiamo 5 figli e Pietro è l’ultimo. La gravidanza era andata bene, ma alla nascita Pietro mostra subito dei segni, dei problemi piuttosto seri a livello respiratorio, ci viene subito portato via dalla vista appena nato, perché non era in grado di respirare autonomamente, viene subito soccorso, intubato, gli viene somministrato il 100% di ossigeno, ma la situazione da subito si capisce che è molto grave. E’ in questa condizione per circa una settimana, dopo una settimana di frequenti crisi respiratorie, i medici ci chiedono di fare una biopsia polmonare per capire meglio quali sono le cause di questi problemi: ci poteva essere una possibilità di una cura particolare che potesse guarire quella che forse era un’infezione grave, oppure che ci potesse essere qualche cosa d’altro. Ma prima di fare questa piccola operazione ci dicono che, se eravamo credenti, era meglio farlo battezzare perché avrebbe potuto essere pericoloso. Così quella sera decidiamo per il Battesimo e invitiamo il nostro amico padre spirituale, che alcuni di voi hanno già conosciuto, che ha presentato qui la mostra, Padre Antonio Sangalli, un carmelitano che in quel tempo viveva al Carmelo di Monza e nostro amico da tanti anni; lo invitiamo a celebrare il battesimo in ospedale. Andiamo al Carmelo con tutti i nostri figli e una ragazza che a quel tempo avevamo in affido. Il Padre sale in macchina e ci fa dono di un’immaginetta dei coniugi Martin e ci dice questo: “hanno perso quattro figli in tenera età, e quindi vi siano di aiuto in questo momento di fatica e di dolore”, perché era ben chiaro che per Pietro era un momento molto difficile e grave. Andiamo in ospedale e lì viene amministrato il Battesimo. Poco dopo ci aspettava il medico di guardia per acconsentire alla biopsia e lì, in quel momento eravamo un po’ in difficoltà, non eravamo certi di acconsentire, pensavamo fosse una curiosità scientifica, perché le complicazioni che c’erano state avevano compromesso la situazione. Alla fine sulla parola di p. Antonio e del medico che era in quel momento di guardia, accettiamo e la biopsia viene fatta il giorno dopo. Finita l’operazione, all’uscita, il chirurgo ci disse che aveva fatto fatica a riconoscere un tessuto polmonare sano, la situazione era molto grave, però, ci disse: “Aspettiamo l’istologia e poi vediamo”. Il risultato non tarda ad arrivare e il giorno dopo il medico di guardia ci comunica in forma ufficiosa, che Pietro ha una malformazione congenita polmonare molto grave e che quindi per lui non c’era nessuna speranza di vita e che quindi la prognosi era da qualche ora a qualche giorno; e nel frattempo la sua situazione era peggiorata ancor di più. Ci dicono che se volevamo salutarlo potevamo farlo la sera dopo l’orario di visita, perché pensavano che la notte potesse morire. Così dopo l’orario di visita ufficiale ci fanno entrare da una porta secondaria per salutare Pietro (noi, i nostri figli e i parenti più stretti); poi facciamo ritorno a casa perché abitiamo vicino all’ospedale e ci avevano assicurato che in ogni caso, se la situazione fosse peggiorata ci avrebbero chiamato. Torniamo a casa e troviamo, come già da un po’ di sere a quella parte, i nostri amici della Fraternità (noi apparteniamo alla Fraternità di Comunione e Liberazione) che si trovavano insieme ai nostri figli a dire il Rosario e a pregare per Pietro. Raccontiamo quello che stava accadendo e quello che i medici ci avevano detto riguardo a Pietro e nel dolore chiediamo loro di cominciare a pensare ai canti del funerale, perché di questo ormai si parlava. Ma dopo aver congedato i nostri amici, noi siamo rimasti col cuore in ansia, aspettando la telefonata dell’Ospedale…. Per noi quella notte è stata la notte del cambiamento.

Adele Schilirò: Noi, di fronte a quello che stava accadendo, volevamo stare coi piedi per terra, non illuderci così, solo fantasticando o sperando inutilmente: la scienza aveva dato il suo verdetto, era stata fatta una biopsia che aveva visto quale era la situazione e quindi noi si voleva stare ai fatti; ma quella notte, che appunto abbiamo passato svegli per il pensiero e la preoccupazione , ci siamo resi conto che stavamo facendo un errore. Il nostro desiderio di stare davanti alla realtà con i piedi per terra era basato su un errore, cioè considerare la scienza come l’ultima che potesse dire una parola sulla vita di Pietro, e quella notte ci siamo un po’ ripresi da quell’angoscia che ci aveva preso alla notizia e ci siamo ricordati che noi siamo figli di un Padre Buono e che questo Padre Buono è il Signore della Vita e che solo lui poteva avere l’ultima parola su Pietro in quel momento, ma su ciascuno di noi. Allora ci siamo risvegliati in questa coscienza di essere figli e ci siamo detti: “Noi possiamo ancora fare una cosa, cioè domandare al Signore, che è il Signore della vita, di guarire Pietro, perché per Lui cosa sarà mai mettere a posto quello che la natura non aveva completato?”. Noi eravamo solo certi che se il Signore avesse voluto, avrebbe potuto guarire Pietro, ma non avevamo nessuna certezza su quale fosse la Sua volontà. Noi stavamo liberamente chiedendo, fidandoci di quello che il Signore avrebbe deciso.

Questa cosa ci ha fatto guardare in un altro modo quello che stava succedendo. La mattina successiva ci aspettava il Primario per darci l’esito ufficiale (la sera prima, infatti, era in forma ufficiosa).

Valter Schilirò: Al mattino successivo, siamo andati dal Primario che doveva darci la comunicazione ufficiale insieme ai suoi assistenti, accompagnati da un nostro amico medico per farci aiutare a capire un po’ di più. Entriamo nello studio, ci ripetono le stesse cose che ci avevano già detto in via ufficiosa. A questo punto, noi diciamo: “va bene, se per la scienza non c’è più nulla da fare, noi confidiamo nel Signore e chiediamo per Pietro un miracolo, per intercessione dei coniugi Martin”, ricordandoci di quell’immaginetta che un po’ misteriosamente ci era stata messa in mano alcuni giorni prima. Il primario ci ha guardato un po’ stupito e ha detto: “sì, posso capire che voi siete i genitori del bambino, ma dovete capire che per Pietro non c’è più nulla da fare se non accompagnarlo”. E noi poco dopo ci congediamo dal primario e ci dirigiamo verso la stanza di Pietro. Il nostro amico medico resterà un po’ a parlare nello studio col primario e poi, dopo un po’, ci riferirà che il Primario l’aveva ammonito severamente dicendo: “Guarda, convinci i tuoi amici, che se ne facciano una ragione, perché per Pietro non c’è più nulla da fare”. Nella strada che facciamo per andare alla stanza di Pietro, abbiamo incontrato un po’ di amici che conoscevamo in ospedale che ci chiedevano notizie di Pietro e noi rispondevamo: “Sta molto male”. “Ma cosa possiamo fare”, e noi, da quel momento, abbiamo cominciato a chiedere a tutti di pregare, di unirsi a noi nella preghiera e abbiamo dato questa immaginetta a tutti, perché fosse un aiuto alle persone che volevano starci vicino, infatti ci chiedevano “Come possiamo pregare con voi?” Quindi abbiamo cominciato a far dono di questa immaginetta un po’ a tutti.

Adele Schilirò: Abbiamo cominciato a dare questa immaginetta alle persone che abbiamo incontrato. Abbiamo consegnato immaginette un po’ a tutti: al lavoro, a scuola, alle mamme incontrate all’asilo, ai nostri amici in parrocchia. Sono andata anche a suonare ai nostri vicini di casa e alcuni di loro mi hanno detto: “come mai vieni da me, lo sai che non vado in Chiesa da tanto tempo, vuoi che il Signore ascolti le mie preghiere? …Io, che sono così lontano”. Per molti è stata un’occasione per tornare al Signore dopo tanto tempo. Alcuni ci detto usando queste parole, “la vicenda di tuo figlio mi ha salvato l’anima”. Questo fatto è stato per noi di grande aiuto perché abbiamo sperimentato, toccato proprio con mano, la bellezza di appartenere al popolo del Signore perché è proprio un’altra cosa poter portare una fatica grande non da soli, sapere che si è accompagnati, che ci sono tante persone che ti aiutano a tenere viva questa domanda. Ed è stata una sorpresa qualche anno fa sentire che il Papa, parlando del Battesimo, aveva detto che col Battesimo il Signore ci fa un dono speciale: il dono di una compagnia che sarà con noi per sempre e così noi non saremo mai più soli ad affrontare la vita. Questo è stato il primo dono che ci è stato fatto: il poter vivere questa situazione non da soli.

Intanto il tempo passava e la situazione di Pietro era sempre grave. Ci avevano detto che non potevamo toccarlo perché l’equilibrio dei macchinari era molto instabile, perciò bisognava essere prudenti. Abbiamo dovuto trovare il modo di far sentire la nostra presenza a Pietro anche in quelle condizioni. Abbiamo cominciato ad alternare preghiere e canti. Questi strumenti sono stati molto importanti per noi, perché ci sono momenti in cui quello che hai nel cuore non riesci neppure a dirlo, ti resta dentro e poter avere delle preghiere, dei canti che bene esprimono quello che vorresti dire e sono già lì pronti solo da dire, da cantare, è davvero un aiuto molto importante. I giorni passavano e la situazione era sempre drammatica: Pietro non dava segni di miglioramento ed era proprio faticoso restare lì, senza poter far niente, a vedere tutto quel dolore di nostro figlio (ha fatto dodici drenaggi polmonari) e anche di tutti gli altri bambini che erano ricoverati con lui. Perché è proprio vero che il dolore innocente è quello che ti lascia pieno di domande rispetto al senso di quello che sta accadendo. In quei giorni era anche arrivato il testo degli Esercizi Spirituali a cui noi partecipiamo tutti gli anni. Quell’anno io non avevo potuto partecipare perché ero a termine di gravidanza e quindi, arrivato questo testo, l’ho letto con gran desiderio di trovare qualcosa che potesse sostenerci; fra l’altro il titolo dell’intervento di don Giussani era “Donna non piangere” e parlava l’incontro di Gesù con la vedova di Nain a cui muore il figlio e in tutto questo dialogo sembrava proprio che parlasse a me. La cosa importante che mi aveva colpito era che diceva che c’è un destino buono a cui tutti siamo chiamati. Allora noi guardavamo Pietro e solo per Fede potevamo credere a un destino buono, perché gli occhi facevano fatica a vedere un destino buono in quella condizione.

E, allora, abbiamo osato chiedere al Signore che ci facesse vedere un po’ di questo destino buono che era anche per Pietro. Che senso aveva il suo essere lì in quelle condizioni insieme agli altri bambini. Anche questa volta il Signore ci ha dato risposta (noi abbiamo sempre sperimentato che quando il nostro cuore grida, domanda al Signore che si sveli, che ci aiuti nelle circostanze e ci dia qualche risposta, in qualche modo il Signore ha sempre risposto). Quella volta è successo in questo modo: mia sorella aveva in casa il libro delle lettere di Santa Teresa e l’ha aperto chiedendo di trovare qualche cosa che potesse aiutarci, consolarci; ha aperto il libro “a caso” (ma sappiamo bene che il caso non esiste, perché è il Signore che guida la Storia) e il libro si è aperto su questa lettera che Santa Teresa scrive parlando del piccolo bambino e dice “Sono incantata dal piccolo bambino, e Colui che lo porta fra le braccia lo è ancora più di me, come è bella la vocazione del bambino, non è una missione che deve evangelizzare, ma tutte le missioni, e come? Amando, dormendo, spargendo fiori a Gesù quando dorme. Allora Gesù, prenderà questi fiori, darà loro un valore inestimabile e li spargerà a sua volta su tutte le rive e salverà le anime, con i fiori, con l’amore del piccolo bambino che non vedrà nulla, ma che sorriderà sempre anche attraverso le lacrime: un bambino missionario e guerriero, che meraviglia!” La prima cosa che ci ha sorpreso è che Santa Teresa chiama il bambino “guerriero” ed era il nomignolo che noi avevamo dato a Pietro perché stava combattendo la sua battaglia per la vita. Capite che per noi era come se ci fosse una dedica scritta in questa lettera? La cosa importante che ci diceva, inoltre, era la risposta che noi stavamo aspettando, era che la sofferenza di Pietro non era inutile (come tante volte ci sentivamo dire) ma portatrice di un valore così grande… Dice la lettera che Gesù prende tutta quella sofferenza e la eleva addirittura al livello della propria offerta di sé, perché Gesù ci ha salvato attraverso la Sua passione e morte. Nella lettera c’è scritto che quello che il bambino offre, è preso da Gesù e con questo salva le anime. Per noi è stato proprio importante trovare questa lettera; certo, il nostro dolore di genitori è rimasto uguale ma il cuore, riconoscendo una vocazione così grande, aveva trovato la Pace. Davanti a questa vocazione ci si può solo inginocchiare.

Valter Schilirò: per noi è stato il primo miracolo, perché ci ha proprio come illuminato su quello che era il valore del dolore innocente di Pietro e di tutti i bimbi che erano lì. I giorni però passavano e la situazione non migliorava, abbiamo attaccato anche questa lettera sul lettino di Pietro anche per aiutare chi si avvicendava nelle cure a lui e agli altri bambini, perché capissero anche loro un po’ di più questo mistero grande. Tuttavia la situazione è sempre peggio, tant’è che il 26 e il 27 di giugno Pietro ha avuto due crisi respiratorie così gravi che il primario ci manda a chiamare dicendoci che ormai non c’era più nulla da fare e dovevamo aspettarci la morte da un momento all’altro. Il 28 di giugno sta nel suo disastro e il 29 di giugno, giorno del suo onomastico, noi andiamo in ospedale sempre col cuore in gola nell’attesa dell’ultimo momento di Pietro. Entriamo in stanza e ci viene incontro un’infermiera e ci dice: “Perché fate quella faccia?” Noi rimaniamo un po’ stupiti da questa domanda, ma lei aggiunge: “Per me, qui, oggi, è successo qualche cosa di straordinario: abbiamo potuto abbassare l’ossigeno al 70% e Pietro dà segni di poter respirare da solo”. Immaginate il nostro stupore di fronte a questa notizia così sorprendente. Tre giorni dopo gli rimuovono i tubi e comincia a respirare in modo spontaneo fra la meraviglia nostra, dei medici e di tutti coloro che erano intorno a noi.

Adele Schilirò: Noi che pure avevamo chiesto la guarigione di Pietro, avevamo mobilitato mezzo mondo, quando questo è accaduto ci siamo sentiti così sproporzionati, perché era evidente 10 anni fa, e oggi lo è di più, che quello che il Signore aveva compiuto in Pietro non era per merito nostro, perché noi non siamo più bravi di altri genitori, non siamo stati più capaci di altri a domandare, non abbiamo fatto cose particolari che potessero meritare questa guarigione e neppure abbiamo “raggiunto” il numero di persone che ci vuole per avere un miracolo (sarebbe una cosa ridicola). Se questo è accaduto e, evidentemente, non è per merito, allora vuol dire che questo fatto non ci appartiene, non è solo nostro; certo, è accaduto a nostro figlio,  ma attraverso nostro figlio il Signore vuole dire qualche cosa a ciascuno, a tutti. Ed è per questo, che accettiamo di raccontare quello che ci è accaduto, perché siamo certi che il Signore vuole dire qualche cosa a ciascuno di voi, sa Lui cosa, e questo è sicuramente la responsabilità che abbiamo noi di essere disposti a raccontarlo. Gesù non ha guarito tutti quelli che ha incontrato quando era sulla terra, però ogni guarigione era per tutti, perché tutti potessero vedere la gloria di Dio. Per noi ha reso più chiare tante cose che in questi anni abbiamo visto, ma certamente due cose grandi e importanti le vogliamo condividere con voi: la prima che la guarigione di Pietro per noi è stata un’evidenza, ha confermato quello che il Signore ci ha fatto trovare nella lettera di Santa Teresa; un po’ come quando, a Gesù viene portato il paralitico, viene calato dal tetto e Gesù gli dice: “ti sono rimessi i tuoi peccati”, ma questo non si vede, la gente comincia a mormorare, “ma questo chi si crede di essere, poi per i peccati poteva far qualche cosa solo Dio, non certo un uomo”, e Gesù che legge nei cuori dice: “per dimostrarvi che ho il potere di rimettere i peccati, ti dico alzati, prendi il tuo lettuccio e vai a casa”. Ha fatto seguire una guarigione che tutti hanno potuto vedere, per dimostrare quella che gli occhi non potevano vedere. Ecco, per noi è stato proprio così, attraverso la guarigione di Pietro il Signore ci ha detto che è proprio vero che il dolore innocente viene preso da Gesù, viene trasformato e utilizzato per salvare le anime. Infatti, il bambino partecipa alla salvezza delle anime. E dicevamo, ma se questo è possibile per un bambino che non sa neanche di offrire, non ha coscienza di quello che sta facendo, perché nella lettera non parla neppure di dolore, ma delle cose normali che fa un bambino, allora il Signore dà una possibilità anche a noi se abbiamo il coraggio di mettere nelle Sue mani le nostre fatiche, i nostri dolori, allora anche a noi dà questa possibilità di partecipare alla salvezza delle anime. Possiamo anche noi offrire il nostro sacrificio per persone che ci stanno a cuore, che hanno bisogno, o per i nostri fratelli cristiani perseguitati dall’altra parte del mondo, poi vedremo in Paradiso i frutti della nostra offerta: però questo sicuramente dà un aiuto e un sostegno anche alle nostre fatiche e ai nostri dolori.

Valter Schilirò: Seconda cosa. I coniugi Martin, che noi conoscevamo appena (sapevamo che erano i genitori di Santa Teresa, ed erano definiti da lei “più degni del cielo che della terra”, che amava tantissimo i suoi genitori), per noi sono stati un grande dono. Attraverso l’incontro con questa coppia per prima cosa è stato motivo di riflessione per noi, di guardare cioè al rapporto che vivevamo come sposi e a guardarci l’uno l’altro, tutti tesi alla santità, cioè aiutarci in questo cammino vocazionale. Questa per noi è stata una scoperta grande e ha anche proprio cambiato il modo con cui ci guardavamo.  Dopo un mesetto ancora in ospedale, Pietro viene dimesso e a settembre raccontiamo quello che era accaduto a Padre Antonio, il quale, per il tipo che è, per la sua vivacità, ci dice: “Sì, va bene, chissà cosa mi racconti tu, fammi parlare con i medici” e così riusciamo ad organizzare a settembre un incontro con un po’ di medici e infermieri , tutta gente che aveva partecipato alle cure per Pietro, e, cartella alla mano, raccontano loro i fatti; e p. Antonio ci vede qualche cosa di straordinario e informa la diocesi, la quale nella primavera dell’anno successivo (2003) istituisce un processo canonico dove verranno appunto intervistati tutti i testimoni che hanno partecipato alle cure per Pietro. E’ un processo molto rigoroso, dove appunto la Chiesa vuole verificare che quello che la gente, il popolo, le persone affermano sia vero. Dopo un mese di indagini viene chiuso il processo e il Cardinale Tettamanzi, con una solenne celebrazione, conclude appunto il processo canonico e viene spedito tutto a Roma. Ci vorranno ancora cinque anni e nel Luglio del 2008 Papa Benedetto XVI conferma appunto che la guarigione di Pietro è un fatto miracoloso, opera del Signore attraverso l’intercessione dei coniugi Martin e fissa per il 19 di ottobre dello stesso 2008 la cerimonia del rito di Beatificazione a Lisieux, dove ha vissuto la famiglia Martin dopo la morte della mamma e, dove appunto Teresa, assieme alle altre sorelle, entrerà nel Carmelo. Ed è stato un momento davvero molto bello. Il 19 ottobre è un giorno particolare, era la Giornata Mondiale delle missioni, e Papa Benedetto XVI voleva dirci qualche cosa…

Adele Schilirò: Sì, era la giornata mondiale delle Missioni di cui è Patrona Santa Teresa e il Papa ha spiegato che ha scelto proprio quella data perché voleva con questo sottolineare come la santità di Teresa nascesse proprio dalla sua famiglia, che già Lei chiamava “Terra Santa”. Nel Gennaio dell’anno successivo abbiamo avuto anche la grazia di incontrare il Santo Padre a conclusione di tutto l’iter della beatificazione, per la consegna del Reliquiario Insigne al Papa. Eravamo accompagnati da Padre Antonio, c’era Pietro con noi e il Rettore della Basilica di Lisieux, e questo è avvenuto il 14 gennaio 2009, al termine di un’Udienza del Mercoledì. In attesa che il Papa si avvicinasse a noi, Padre Antonio continuava a dire a Pietro: “Mi raccomando, quando arriva il Papa digli: -Grazie Santo Padre-”… e glielo avrà ripetuto non so quante volte. Si è avvicinato il Papa e Pietro, con la sua semplicità da bambino gli ha detto: “Ti voglio tanto bene!” e lo guardava con uno sguardo molto bello. Questo momento è durato pochi minuti, ma ha davvero toccato il nostro cuore. Il Papa ha davvero uno sguardo che sembra che ti legga dentro. Ci dicevamo: è stato così bello essere guardati dal Papa, che è sì il Papa, ma è pur sempre un uomo, chissà come sarà bello essere guardati di Gesù. Avevamo questa gioia nel cuore quando c’è stato un fuori programma. Finita l’udienza, veniamo chiamati dal personale che c’è lì per recarsi di corsa dal Cardinale Comastri, che ci chiedeva di recarci nel suo ufficio. Noi eravamo un po’ stupiti per questa richiesta che non ci aspettavamo e quindi di corsa, assieme ai parenti più stretti e agli amici che c’erano con noi, siamo andati da lui. Il Cardinale ci ha ricevuto dicendo: “è proprio vero quello che dice s. Teresa che il Signore si occupa anche dei dettagli della nostra vita, e non solo delle cose grosse”. Noi però facevamo fatica a capire cosa ci volesse dire, allora ci ha spiegato che, anni prima, lui era responsabile della Santa Casa a Loreto e un gruppo di persone che non conosciamo gli ha chiesto se voleva unirsi a loro nella preghiera per domandare la guarigione di un bambino e sono andati nella Santa Casa e hanno pregato per Pietro che lui non conosceva. Anche lui ha pregato seguendo le indicazioni di questo gruppetto. Anni dopo è stato chiamato a Roma e adesso è responsabile della Basilica di San Pietro e in quel periodo il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che allora era il Cardinale Sarajva Martins, aveva distribuito fra alcuni Cardinali la documentazione relativa alle Cause aperte per le indagini sui vari casi. Al Card. Comastri è stata data proprio la causa dei coniugi Martin e, ci ha raccontato che, mentre studiava la causa si è reso conto che anche lui era stato coinvolto in questa preghiera, era stato coinvolto nella guarigione di Pietro: questo lo aveva proprio vissuto come una tenerezza che il Signore aveva usato nei suoi confronti e allora voleva conoscere Pietro sapendo che eravamo lì. Voleva, però, anche lasciarci un compito, che noi siamo qui ad assolvere: ci ha detto di dire a tutti gli sposi di riguardare con più coraggio e orgoglio la propria vocazione matrimoniale, così importante per tutta la Chiesa; e poi, ci ha chiesto di dire a tutti i genitori che avremmo incontrato, che il dono più grande che possono fare ai propri figli è il dono della Fede. Non è cercare la scuola migliore, l’Università migliore, il lavoro migliore, ma è proprio il dono della Fede, “perché” diceva “è l’unico modo che abbiamo per dare ai nostri figli la possibilità di essere liberi e felici, perché solo nel Signore possiamo davvero esserlo”. E noi siamo qui a dirlo a tutti voi.

Valter Schilirò: i coniugi Martin ci sono ora proposti come modello da guardare. Questa Mostra dà davvero un bello sguardo su questa famiglia, che è una famiglia molto normale, che non ha fatto delle cose straordinarie, ma ha tentato di vivere, e ci è riuscita molto bene, la fede nel quotidiano. Questa è la cosa straordinaria che si riconosce in ciascun pannello. In tutto il loro incedere della vita hanno imparato proprio questo: mettere il Signore al primo posto, nelle fatiche e nei dolori che non gli sono stati risparmiati.

C’è poi un’ultima cosa che volevamo raccontarvi. Qualche anno più tardi, quando Pietro aveva circa tre anni, il Signore ha fatto in modo di farci capire di più quello che era accaduto a Pietro. Premessa: attorno a Pietro c’era un’aura strana, era un po’ considerato come il prescelto, anche rispetto agli altri figli (dei quali non ci chiedeva mai nessuno); c’era anche chi arrivava a toccarlo e poi si faceva il segno della Croce, … scene un po’ così e noi eravamo un po’ preoccupati di questi atteggiamenti, e abbiamo chiesto al Signore di aiutarci a gestire bene questa cosa. Dicevamo prima che il Signore risponde sempre. Ed è accaduto anche questa volta…e bisogna riconoscere che il Signore ha avuto molta fantasia, diciamo, per come risolvere la faccenda. Allora, verso i tre anni, Pietro ha iniziato ad avere atteggiamenti un po’ strani, urlava sempre,… insomma, per farla breve, è diventato sordo! Noi abbiamo detto: “Signore, ma scusa, perché questo?”. Poi, dopo il primo smarrimento, ci siamo resi conto che questo fatto, aveva riportato Pietro al suo giusto posto. Il fatto che lui sia stato miracolato, non vuol dire che non gli accadrà più nulla nella vita, che non avrà bisogno di tutta la fatica di crescere o che non avrà anche lui bisogno di decidere di seguire il Signore. Pietro è come gli altri, è un bambino che deve affrontare tutte le sue fatiche; che se cade si fa male; che se non sta attento va sotto la macchina; che non è preservato da ogni male perché è stato miracolato, lui riparte come tutti gli altri. Certo per noi è il segno evidente che il Signore ci è vicino, che il Signore si occupa delle nostra vita, ma questo non ha reso lui il prediletto. Questo fatto della sordità, che inizialmente ci ha sorpreso, ci ha fatto capire che l’importante è poter guardare Pietro in tutta la sua umanità, prendersi cura di lui allo stesso modo degli altri figli. E abbiamo visto come il Signore si è preso cura anche gli altri figli. Il Signore si è occupato di Pietro in un modo straordinario, ma si occupa di noi tutti i giorni. Il fatto stesso che noi siamo qui, che ci svegliamo il mattino, che il Signore ci dona la vita, è il Signore che si occupa di noi e questo è straordinario e dice della gratitudine che noi dobbiamo avere. Perché i fatti straordinari accadono una volta e non a tutti, ma è nell’ordinario che il Signore ci mostra tutta la sua Grazia, quindi è proprio bello essere grati in ogni istante di questo dono grande della vita.

Adesso Pietro ha 10 anni, ha fatto l’impianto cocleare e il suo udito va molto meglio. Non si recupera l’udito normale, ma riesce a sfruttare abbastanza bene questa possibilità.

Da ultimo volevamo dire che il Signore si è degnato di dare a tutti noi la possibilità di conoscere questi due coniugi perché si vive un momento di grande fatica per la famiglia, che è “tribulata” da ogni parte. Il Signore si è degnato proprio in quest’epoca di farceli conoscere. Sull’esempio dei Martin (ma non solo loro) il Signore ci vuole indicare proprio qual è la strada del matrimonio cristiano. Il Signore sia il primo a essere servito tra i coniugi, è una gara tra loro per camminare insieme per la santità, occuparsi delle cose del Cielo già quaggiù anche nella fatica quotidiana, attraverso i dolori e le gioie che il Signore ci dà ogni giorno, e quindi è un po’ con questo augurio  che vi lasciamo: che guardando a questi due santi diventiamo santi anche noi.

Adele Schilirò – Dobbiamo ringraziare ogni momento il Signore per tante cose: la guarigione di Pietro che ci è stata donata e che ci fa guardare alla quotidianità della vita per vedere in ogni momento il Signore che si fa compagno attraverso fatti semplici. Attraverso le vicende di Pietro, abbiamo potuto ritrovare degli amici che ci avevano segnato la vita e che avevamo un po’ perso e il Signore ce li ha fatti ritrovare. Inoltre abbiamo trovato nuovi amici, … tanti di voi conoscono il dottor Paterlini che per noi è stato un dono e che abbiamo conosciuto in questa vicenda perché noi ci siamo conosciuti in ospedale attraverso il fatto di Pietro. L’avere amici con i quali condividere il cammino verso il Signore è un dono molto importante nella vita perché rendono l’ordinario della vita qualche cosa di speciale.  Grazie.